di Giulia Quintabà

Sipari di cinema e teatri continuano a restare abbassati, ma il settore ha ancora tanto da dire e può farlo anche grazie alle pagine di riviste, indipendenti e non.
Fondata nel 1962, Cineforum nel 2020 cambia pelle: formato, grafica e periodicità vengono rivisitati, restando fedele all'originale nei contenuti. Tra le sue pagine presentazioni e recensioni si alternano a polemiche e discussioni su decine di film, analisi dei trend cinematografici e delle tendenze autoriali in questo settore.
In occasione dell'uscita del primo numero abbiamo intervistato Emanuela Martini, direttrice della rivista.

Ciao Emanuela e grazie per averci concesso questa intervista! Nel 2019 è terminata la tua esperienza di direttrice del Torino Film Festival, ma ti sei subito imbarcata in una nuova avventura, forse anche più difficile: rilanciare nell’era del digitale una rivista storica come Cineforum in formato cartaceo.
Io sono una maniaca del formato cartaceo, abito in una casa molto piccola e probabilmente verrò butatta fuori di casa dai libri. Mi capita di leggere anche su dispositivi elettronici, ma in questa epoca digitale non voglio abusarne. Ho proprio un amore quasi fisico con il libro e la carta, è una forma di feticismo e me ne rendo conto! E nonostante io viva di cinema e sia un’appassionata da quando avevo 2 anni e mezzo, posso anche sopportare di vedere i film a casa sulla tv, ma non riesco a immaginare di poter sostituire la carta con il formato digitale.

Cineforum non sarà mai una rivista di massa, perché è il cinema stesso a non essere più un fenomeno di massa, per cui la nostra potrebbe sembrare una scommessa folle, soprattutto in questi tempi di profonda crisi generale. Però sono convinta che tutto questo non scomparirà e che esista una nicchia sufficientemente grossa già fidelizzata con cui portare avanti questa sfida.

Hai in parte anticipato una domanda che volevo farti: che tipo di pubblico vorresti raggiungere con il nuovo Cineforum? Cinefili di nicchia o anche semplici appassionati?
Mi rivolgo ovviamente al pubblico più largo possibile. Come dicevo prima, il pubblico che frequentava le sale cinematografiche mediamente è un pubblico di nicchia, credo sia lo stesso che consuma pubblicazioni di critica cinematografica. La vera sfida sarà raggiungere il pubblico dei giovanissimi. Per me è fondamentale che la rivista sia scritta bene e debba rifuggire dal taglio strettamente accademico, proprio per essere fruibile a più persone possibili.

Vuoi raccontarci come si è sviluppata negli anni questa collaborazione con la Fondazione Italiana Cineforum?
Lavoro con Cineforum dal 1980, negli ultimi anni scrivevo di meno per altri impegni lavorativi, ma sono sempre stata collaboratrice nel comitato di redazione. Per assurdo l’arrivo della pandemia ci ha dato una spinta per cambiare: insieme all’ex direttore di Cineforum Adriano Piccardi e alle persone che si occupano del sito, abbiamo iniziato a ragionare su cosa fare per dare nuova linfa vitale alla rivista. Per questioni principalmente economiche non riuscivamo più a pubblicare 10 numeri l’anno, abbiamo deciso di diventare un trimestrale di approfondimento e di riflessione, ma che non fosse completamente slegato dall’attualità.

Ti faccio i complimenti per il numero 0 e ti chiedo come è strutturata la rivista e quali sono le novità.
Quelle che io chiamo le “recensioni al brucio” vanno sul sito, mentre sul trimestrale saranno inclusi dei pezzi più ragionati, ma senza escludere le singole recensioni lunghe dei film.
Nel numero 0 ci sono infatti le recensioni di Mank e One Night In Miami che erano disponibili sulle piattaforme streaming in quel periodo. Nel prossimo numero ce ne saranno addirittura quattro. La prossima settimana inizierò a buttare giù una lista delle uscite tra aprile e la fine di giugno. Con il covid programmare i contenuti è diventato un lavoro abbastanza complesso. Ad esempio, quando ho iniziato a stilare queste liste nell’autunno scorso continuavano a spostare il nuovo James Bond e West Side Story di Spielberg. Per il nostro lavoro è un disastro.

Il resto della rivista raccoglie rubriche che cresceranno nel tempo. Nel numero 0 ce n’erano due: Belli e Dannati a cura di Gianni Amelio, in cui trattiamo film sottovalutati dalla critica o dal pubblico, e Il Lungo Addio che si occupa di ricordare i grandi del cinema appena scomparsi.

Poi ci sono gli approfondimenti tematici come Paesaggi Italiani che ci accompagnerà tutto l’anno. Abbiamo deciso di scoprire come si configura il paesaggio, non solo geografico ma anche umano, e come il cinema italiano contemporaneo rifletta i cambiamenti di varie aree dell’Italia. Nel numero 0 abbiamo esplorato il Triveneto, perchè è una delle zone dove è più evidente questa trasformazione ed è quello che ha avuto negli ultimi 10 anni una produzione cinematografica numericamente e qualitativamente molto corposa e interessante.
Un’altra sezione tematica dedicata alla storia del cinema è Stardust Memories e Gli Anni della Fenice sul rapporto tra cinema e letteratura. Poi ovviamente c’è Primo Piano che tratta il tema conduttore del numero.

Nel numero 0 c’è un articolo su We Are Who We Are di Luca Guadagnino. Da anni vediamo una crescita esponenziale, sia a livello qualitativo che numerico, dei prodotti seriali. Come Cineforum darete sempre spazio alle serie tv di qualità?
In questo caso specifico l’abbiamo inserita perchè essendo girata a Chioggia rientrava dentro Paesaggi Italiani. Nel prossimo numero invece non si parlerà di nessuna serie televisiva. Se esce un prodotto che si possa agganciare a uno dei temi trattati va benissimo, ma non sarà un appuntamento fisso della rivista, mentre troverete più recensioni di questo tipo sul sito. Il problema delle serie tv è che se le vuoi recensire dovresti vederle tutte, ma se esce un’opera dal grande valore autoriale ovviamente ne parleremo.

E a te piacciono le serie tv? Nel tempo libero ti capita mai di fare binge-watching?
Io guardavo molte più serie una volta, adesso non riesco a stare al passo. Ho solo Netflix e ho sempre poco tempo: in questo periodo sto tenendo un ciclo di lezioni sul cinema di fantascienza per Film Tv e per prepararmi mi riguardo un sacco di DVD. Però le serie mi piacciono e mi appassionano. Trovo che le serie americane abbiano raggiunto dei livelli di linguaggio che spesso il cinema non ha più. Non mi è mai piaciuto vederle aspettando una settimana l’episodio successivo. Quando ho visto The Sopranos ho fatto binge watching in un mese ad agosto. Per me è la serie più bella che sia mai stata realizzata: è puro Shakespeare in formato seriale, formidabile!

Il numero 1 avrà uno speciale dedicato al comunismo. Puoi darci qualche anticipazione su cosa troveremo nella rivista?
Il tema principale sarà il cinema sovietico e russo dagli anni ‘50 a oggi e la sua eco nel cinema contemporaneo. Avremo anche le recensioni di Promising Young Woman, Judas and the Black Messiah, Collective, Extraliscio, il film di Elisabetta Sgarbi che era stato presentato a Venezia e che uscirà in estate sia in sala che in streaming. Per la rubrica Il Lungo Addio ci sarà un omaggio al grande Christopher Plummer. Avremo una terza rubrica a cura del nostro storico collaboratore Gualtiero De Marinis che fa il suo ritorno su Cineforum dopo quasi 20 anni.
Paesaggi Italiani sarà dedicato alla Puglia e sarà introdotta una nuova sezione tematica chiamata Grande Schermo.

Rivista cineforum

Non ho potuto fare a meno di notare che quasi tutti gli articoli sono scritti da uomini. Ci sarà più spazio in futuro per voci femminili dentro la redazione?
Dipende da come scrivono! Purtroppo il discorso è sempre lo stesso: quante donne fanno critica cinematografica? Durante l’ultimo festival che ho diretto nel 2019 iniziavano le pressioni su inserire nei programmi un numero di film diretti da donne pari a quello di uomini. Neanche per sogno! Se mi arrivano 100 film di cui 10 di registe e 90 da registi, ti pare possibile che io ne trovi 5 buoni di maschi e 5 buoni di donne? Quanta gente c’è che fa quel mestiere? Perché le donne non fanno le registe e le critiche?
Il problema è sempre a monte. Quattro anni fa ho partecipato a un dibattito su una ricerca riguardante le donne iscritte alle scuole di cinema in Italia che partiva da un’analisi su quante donne e uomini erano iscritti al Centro Sperimentale per studiare regia: quando arrivavano al diploma era lo stesso numero. Qualche anno dopo era stato fatto il controllo di quante avevano chiesto il buono qualità del Ministero per il film d’esordio e le donne erano quasi tutte sparite. Andate quasi tutte a lavorare come registe televisive. Stesso discorso per la critica: se ci sono delle donne che scrivono bene e non sono concorrenziali io son ben contenta di inserirle in redazione, però sono molte di meno. Questo è il problema.
Storicamente anche nei quotidiani ci sono state solo 3 critiche: Bignardi, Tornabuoni e Aspesi, di cui solo una che veniva davvero dal cinema. Oggi ci sono solo Maria Rosa Mancuso de Il Foglio e pochissime altre.

Collegandomi alla domanda precedente, vorrei chiederti cosa ne pensi dell’evoluzione di certa critica in chiave femminista che utilizza molto spesso parametri come la rappresentazione di minoranze o la profilazione di genere e di classe (maschio etero cis, donna bianca benestante) come metro di giudizio per opere televisive o cinematografiche.
È una cosa giusta e va bene che ci sia. Però ad esempio trovo che le regole di inclusività degli Oscar che entreranno in vigore nel 2022 siano assurde. (l’Academy ha stilato un regolamento di ammissibilità delle opere per garantire maggiore pluralità e inclusione, NdR)
Ci sono testi del femminismo anni ‘70 americano sull’immagine della donna e dell’uomo, gli stereotipi, le condizioni socio-economiche e culturali che hanno determinato la situazione attuale e sono tutti fondamentali e importanti. In quegli anni ero amica di due critiche cinematografiche femministe militanti, però non hanno mai scritto la recensione di un film basandosi su questi parametri. Liquidare o apprezzare troppo un film perché è diretto da una donna non va bene. Ad esempio io ho amato molto One night in Miami di Regina King, ma non è vero che si vede che è diretto da una donna. Se c’è un macho nel cinema americano contemporaneo, quella è Kathryn Bigelow!
Adesso si è arrivati ad altri livelli di isteria e a un nuovo livello di maccartismo che trovo pericoloso. È come quando dopo il nazismo si volevano bruciare i film di Leni Riefenstahl: ideologicamente non potrei essere più distante da quella donna, ma ha fatto dei grandi film. Nel presente penso sia inammissibile voler censurare o cancellare le opere di grandi come Roman Polanski o Woody Allen.

E ora la domanda da 1 milione di dollari: i fratelli Lumière dissero che il cinema era un’invenzione senza futuro e noi cinefili li abbiamo sempre presi in giro. Nel 2021, a un anno dall’inizio della pandemia, possiamo dire che avevano ragione loro? O meglio, il cinema come linguaggio sicuramente sopravviverà, ma quale sarà il futuro dei cinema e della visione in sala?
La pandemia secondo me ha accelerato vertiginosamente un processo che era già in atto: la crisi delle sale, la loro scomparsa dai centri cittadini. Ad esempio Corso Vittorio Emanuele a Milano era la via dei cinema, ora sono spariti tutti. E questo è un punto su cui lo Stato avrebbe dovuto riflettere già da tempo. In Francia questo accade molto meno, perché sono più protezionisti rispetto a noi: fino a poco tempo fa avevano una legge che prevedeva di non poter cambiare la destinazione d’uso di teatri o cinema chiusi. Da noi invece diventano negozi di abbigliamento o Apple Store. In più hanno aiuti economici per la ristrutturazione e per l’adeguamento tecnologico. Non a caso l’industria cinematografica francese è la più potente d’Europa.

Io sono convinta che, una volta usciti dalla pandemia e dopo un primo periodo di inevitabile assestamento e con aiuti governativi sufficienti, la sala continuerà a esistere in maniera diversa da prima.
Nelle grandi città sta emergendo una tendenza molto interessante che è quella della multiprogrammazione, cioè una programmazione diversa giorno per giorno o addirittura ora per ora. Questo, insieme a piccoli eventi come i film in prima visione in lingua originale, incontri, proiezioni di classici e altri eventi, potrebbe essere il futuro perché il pubblico per il cinema c’è, ma gli esercenti devono capire che bisogna riconquistare il pubblico e crearne di nuovi. Sarà importante il ruolo dei distributori, che spesso non facilitano il lavoro degli esercenti. Dovrebbero essere consapevoli che con il digitale la loro categoria serve sempre meno e il loro ruolo è a rischio estinzione.
Bisogna curare il prodotto in tutti i suoi aspetti. Negli ultimi anni anche molti esercenti si erano adagiati troppo: ci sono delle sale che hanno un sonoro pessimo, quasi peggiore dell’impianto casalingo. Speriamo che quando/se a giugno riapriranno i cinema, non escano solo prodotti scadenti, altrimenti è chiaro che la gente poi non tornerà in sala. Comunque è innegabile che la visione in sala è diversa da quella sul divano di casa. Per quanto riguarda la critica, ti assicuro che l’esperienza dei festival vissuti online lascia una frustrazione incredibile: mancano lo scambio di idee, il confronto con i colleghi e soprattutto l’atmosfera.

Giulia Quintabà

41 anni, cinefila, ama i vestiti neri con il colletto in pizzo bianco. Adora i gatti, i vecchi film, i quadri preraffaelliti, i viaggi on the road e la musica anni ’70. Colleziona edizioni antiche e moderne di Alice in Wonderland. Non le piacciono le persone pressappochiste, l’ignoranza, i brutti tatuaggi e i film doppiati. Nella vita di tutti i giorni è una digital content creator, ma sogna di aprire un’attività e girare il mondo con suo marito. Su instagram @julietvampire

 

23 marzo 2021 — Frab's Magazines & More
Tag: interviste

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