Lo avevamo definito “un nuovo cult della letteratura italiana”, colpo di fulmine a prima vista, amore a tutti gli effetti a lettura ultimata e no, non ci sbagliavamo. Anche voi lettori lo avete apprezzato regalandogli il podio dei Best Seller di Frab’s del 2019.
QUANTO non è una rivista che passa inosservata e, a dirla tutta, si fa anche un po’ fatica a chiamarla rivista, diversa com’è da tutto quello che vi sia mai capitato tra le mani.

Il primo volume, ormai sold out, con un unico lungo racconto, ci aveva trasportato in una distopia degna dei peggiori incubi, un futuro grigio e privo di sentimenti, dove l'animo umano è completamente annichilito, soggiogato al volere dell’Azienda.
Col secondo numero si cambia (apparentemente) genere, ma resta inalterata la volontà degli ideatori del magazine, Giovanni Cavalleri e Zeno Toppan, di dare valore alla componente tattile dell’oggetto QUANTO. A darci il benvenuto è la testata olografica che svetta sulla sovracopertina semitrasparente di un giallo limone che potrebbe essere verde. Si prosegue con una cover porosa e bellissima di un verde che potrebbe essere azzurro e, ancora, pagine gialle i cui testi, note ai margini e tavole illustrate riportano la rielaborazione della tesi di dottorato dell’antropologo Raymond D. Berger. Tre capitoli intensissimi ci fanno scoprire la tribù dei Bintù, tra antichi rituali, sogni lucidi che mettono ogni cosa e persona in connessione, divinità uccello e una grande bocca che tutto divora, anche se stessa, simbolo della minaccia del progresso capitalista sulle immutate tribù indigene.
Non mancano i punti di contatto col primo numero di QUANTO, quasi ne fosse un prequel da un altro mondo, con un piccolo dettaglio, contenuto in una delle tavole illustrate dal bravo Rocco Natale, che difficilmente sfuggirà al lettore ben attento e che avvalora la nostra tesi.

Zeno e Giovanni, qual è la genesi di QUANTO e il senso di una rivista in carta e inchiostro oggi?
Come ogni esperienza artistica Quanto nasce da uno smarrimento esistenziale, dalla percezione che il mondo non ci basti e sia quindi necessario avviare una ricerca. La nostra indagine affonda le radici nel terreno della narrativa e del design. Vogliamo fare letteratura raccontando storie in maniera inedita e quindi coinvolgendo non solo la vista necessaria alla lettura, ma anche gli altri sensi: la carta al tatto, il fruscio dello sfogliare, l'odore degli inchiostri... La componente fisica della narrazione è fondamentale tanto quanto la storia stessa: i materiali scelti veicolano significati precisi e sono chiari rimandi meta-narrativi. Per fare un esempio, la copertina del secondo numero è composta da scarti di cuoio perché volevamo che rimandasse all'ideale copertina di un diario di campo antropologico, ma con un colore particolare (l'azzurrino) che rimanda al mondo dei sogni.

QUANTO è strana, diverso da ogni rivista, lo si capisce a partire dal colophon collocato in quarta di copertina o nell’ultima pagina. Ci spiegate un po’ le vostre scelte editoriali?
Il colophon del primo numero raccoglie i nomi dei contributor e i dettagli di produzione in coda al volume, come fossero titoli di coda. Abbiamo intenzione di creare una frammentata narrazione a puntate di universi narrativi a sé stanti ma tra loro collegati: la vicinanza del nostro progetto editoriale alle serie televisive ci ha spinto ad adottare quella scelta di colophon per il primo numero. Inoltre avevamo deciso, sin dall'inizio, che tutto ciò che avrebbe abitato la parte interna della rivista sarebbe stato appartenente all’universo di Quanto 1 e non al nostro mondo.  I risguardi ospitano l’editoriale e la nota sulla tipografia, ma varcando pagina uno si finisce nel mondo distopico dell’Azienda e se ne esce solo una volta chiuso il libro. Lì, appunto, i “titoli di coda”.

Per il secondo numero, in quarta abbiamo riportato la biografia dell'antropologo da cui è tratto il secondo episodio di Quanto e nell'ultima pagina (insieme ai consueti titoli di coda), abbiamo seguito le norme redazionali bibliografiche tipiche della letteratura saggistica riportando la bibliografia citata nel testo.

Quanto magazine

Entriamo nel vivo del numero due. Come mai avete deciso di pubblicare la tesi di dottorato di un antropologo?
Specifichiamo: non abbiamo pubblicato una tesi di dottorato, ma una sua rivisitazione in chiave narrativa. Nella primavera 2019 ci è giunta tra le mani una tesi (mai accettata dall’Accademia) che circolava da anni su internet in un Pdf di oltre 400 pagine di avventure e follie. Raymond D. Berger, antropologo francese ma laureatosi a Londra, sostiene in quelle pagine di essersi smarrito nelle foreste del Congo nel 1993 e di avere incontrato una particolarissima popolazione di cacciatori raccoglitori che non aveva mai conosciuto l’uomo bianco, ma che era stata sconvolta, nei mesi precedenti all’arrivo dell’antropologo, dalla caduta di un piccolo aereo nei pressi del loro villaggio. Berger indaga nella sua tesi allucinata i meccanismi attraverso i quali come questa popolazione (i Bintù) abbiano tentato di restituire un senso al loro universo di credenze dopo che le loro vite erano state sconvolte dall’arrivo a gamba tesa dell’Occidente nelle loro vite. L’aereo viene creduto un uccello, il “Grande nonno”, le cassette VHS che lo sciamano del villaggio rinviene nel vano cargo vengono sventrate e le loro bande magnetiche vengono impiegate in riti per l’intuizione del futuro.
L’angoscia per lo stravolgimento del loro mondo viene rappresentata dalla comparsa, nel loro pantheon, di una nuova e terribile divinità: La Grande Bocca che divora tutto, anche se stessa: per noi chiara metafora della globalizzazione e del neocolonialismo che avrebbe finito di sconvolgere il Congo dopo il conflitto ruanedese.
Non potevamo non contattare Raymond e mettere le mani sulla sua tesi. Il materiale narrativo era troppo ghiotto e ci forniva l’opportunità di raccontare una storia come fosse un articolo scientifico. Dovevamo farlo.

Leggendo tra le righe, abbiamo trovato punti di contatto tra i due numeri. È frutto della nostra immaginazione o c’è davvero un legame tra i volumi?
Tutti i volumi sono collegati tra loro, in un modo o nell’altro; ma ogni numero è un universo narrativo autoconclusivo e può essere letto singolarmente a prescindere da tutti gli altri numeri. La narrazione di Quanto è unica, anche se frammentata e cangiante: ci piace giocare coi lettori e nascondere informazioni, qua e là, sulla macrostoria che unisce tutte le storie.

Nel secondo numero a pagina 9 parlate di quarantena. Nel primo descrivete un mondo in cui il distanziamento sociale è la norma e per uscire bisogna indossare dei ventilatori. Siete dei veggenti o credete che effettivamente il mondo stia andando in quella direzione?
Il distanziamento sociale, come viene chiamato oggi, è un’imposizione che ci è sopportabile solo perché esiste, da almeno un decennio a questa parte, il suo contraltare, ovvero la socialità a distanza. La pandemia ci ha segregato nelle nostre case rendendoci fisicamente soli, ma siamo in eterno contatto (al punto da esserne sfiniti) con le estensioni virtuali dei nostri cari: dai social alle videochiamate. Il distanziamento sociale è una misura che talvolta viene imposta a gruppi ristretti e (per la prima volta nel 2020) a ¾ del mondo, ma non dimentichiamoci che in alcuni casi il distanziamento sociale è una scelta volontaria per migliaia di individui che vengono a oggi considerati patologici. Stiamo parlando di quelle persone che evitano di uscire di casa e consumano le loro vite nei mondi virtuali, e sono sempre di più. Riteniamo che, a lungo andare, questo sarà il futuro dell’umanità e visto che non siamo veggenti, ma “speculatori”, nel primo numero, gli esseri umani continuano a circolare come coscienze in corpi sintetici ma quasi nessuno è più in grado di provare emozioni.

Riporto la nota a pagina 9 che citate: È interessante notare come le medicine arcaiche e tradizionali considerino la malattia come una piaga da combattere e sconfiggere socialmente, attraverso cure e rituali pubblici o familiari. Per la biomedicina occidentale, invece, la malattia è ridotta al concetto di ‘patologia’ e il corpo del malato diventa un corpo infetto, da isolare durante ricoveri ospedalieri o addirittura quarantene.”

Questo brano ci fornisce l’assist per raccontare quello che anche oggi sta succedendo: nel medioevo per combattere la peste si organizzavano processioni e si spalancavano le chiese (anche oggi qualcuno lo suggerisce), ma il contagio, naturalmente, si diffondeva. Queste pratiche sono folli quando si deve combattere un male contagioso (come nella pandemia del 2020), ma rispondono a una chiara esigenza umana, quella di condividere il proprio dolore nei momenti di difficoltà. In paesi come l'Olanda o l'Inghilterra l'idea di un distanziamento sociale diffuso è stata contestata da alcuni studi che prendevano in considerazione anche i problemi psicologici che potevano derivare dalla quarantena, svelando come il “morbo” non si possa considerare solo come un agente patogeno ma vada considerato anche in tutte le sue estensioni. In particolare, direi che chiunque sia oggi confinato in casa ha contratto, metaforicamente, il virus dal momento che la semplice esistenza del virus ha alterato pesantemente la sua quotidianità.

Durante questa quarantena dal vostro profilo instagram avete lanciato le Quantiche, una serie di racconti brevi per favorire la cultura sui social che sta riscontrando un bel favore di pubblico, tanto da essere finita anche su Marieclaire.it. Come vi è venuta in mente questa idea e che futuro pensiate possa avere? Le troveremo su carta?
L’idea ci è arrivata tra una sigaretta e un bicchiere di vino (o, più probabilmente, di gin tonic alla fragola) mentre contemplavamo dal balcone il silenzio di San Siro sul fondo della città. Ci piaceva l’idea di dare il la a penne addormentate che in reclusione avrebbero potuto riscoprire la loro passione per la letteratura. Stiamo ragionando sul futuro delle Quantiche: saranno una lunga odissea e avranno anche loro, come la nostra quarantena, una fase due. E sì, se tutto va bene e il nostro illustratore non ci abbandona nell’impresa, una selezione di Quantiche prenderà anche vita cartacea, in un formato che integrerà illustrazione e letteratura, contestualizzandole in un unico universo narrativo.

Quantiche

State “scontando” la vostra quarantena insieme a Milano. Come sta andando questa esperienza e cosa vi sta insegnando?
Come tutti i momenti di crisi, anche questo si sta rivelando utile per tirare le somme su quanto fatto fino a ora e e per riflettere su quando ha da venire. E non parliamo solo di Quanto. Siamo di fronte non tanto a un bivio quanto a un pericoloso incrocio a più livelli: internazionalismo o autarchia; revisione dei sistemi sociali ed economici ai quali siamo abituati o la loro restaurazione; tenersi stretti gli agi della modernità, o ridimensionarli in favore di una condotta di vita più equilibrata. Tutte strade senza segnaletica orizzontale che si intersecano in continuazione. E la mancanza nell’aria di una plausibile alternativa a quanto visto finora ci preoccupa. Queste riflessioni ci stanno guidando nell’elaborazione del prossimo numero di Quanto, la cui direzione sarà quella delle origini: pescare nell'impensato le metafore narrative più adatte per raccontare il nostro mondo. Quanto 3 racconterà la storia del crollo del mondo e la speranza (ma anche il terrore) per la costruzione di un nuovo orizzonte delle cose.
Nel frattempo Zeno continua a tossire ma giura che non è Coronavirus, comunque sta recluso in casa.

Volete lasciare qualche consiglio da quarantena per i vostri  lettori?
Lo stesso consiglio che diamo a noi stessi: non rassegnarci, né abituarci a questo stato delle cose, ma cercare e riconoscere cosa in questa crisi ha valore, e farlo durare, e dargli spazio.

Foto credits © Stefania Zanetti

 

 

 

 

18 aprile 2020 — Dario Gaspari

Commenti

feliciano toppan ha detto:

Grande Zeno ,mi è piaciuta l’intervista . Per la tosse, visto che non è corona virus ,vedi di fumare di meno così ti passa 😂😂

Loredana ha detto:

Lungimiranti. Un mix interessante tra sognatori e realistici

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