Siete mai stati in una terra di confine? Io sono nata nel centro esatto della nostra penisola. Il valico del mio paese (Rionero Sannitico, noto per la storica resa di Girardengo 100 anni fa esatti) segna la fine dell'Appennino Centrale e l'inizio di quello Meridionali. Insomma, nata al centro dell'Italia, di confini ne mastico poco. Ad esserne invece esperti sono gli editori di Manaròt magazine, una nuova rivista letteraria italiana che abbiamo selezionato per il nostro Secret Mag Club di Giugno.

Manaròt è una creatura strana, che però si lascia decisamente amare. Figlia di un territorio che l'ha plasmata, tra Trentino e Alto Adige/Südtirol, riporta tra le sue pagine dalla grafica essenziale tutte le contaminazioni culturali, le ibridazione e il caos creativo che solo le zone di confine conoscono.
Nicolò Tabarelli e Davide Gritti ci raccontano del loro progetto editoriale, tra simpatici aneddoti e incursioni letterarie.

Nicolò, Davide, come descrivereste MANARÒT a chi non vi conosce?
MANARÒT è una rivista letteraria che, partendo dal Trentino Alto-Adige Südtirol, si propone a un panorama italiano ed europeo. Noi la definiamo atesina (relativa cioè al fiume Adige), una definizione operativa che ci è utile per tenere assieme la provincia di Bolzano e quella di Trento. Vogliamo legare queste due province perché l’ambizione di fondo di MANARÒT è di essere un tramite tra gli esordienti italiani e quelli europei, in particolare con quelli dell’area germanofona. Quanto poi lo spirito mitteleuropeo passi veramente da questa direttrice è una cosa che stiamo man mano scoprendo anche noi. Trento e Bolzano distano quaranta minuti di treno, ma sembra che non ci sia molto dialogo tra le “scene” delle due città, peraltro molto fertili in questo momento. Siamo tra i primi a cercare di fare da trait d’union, almeno nell’ambito della narrativa. Più semplicemente MANARÒT è un luogo in cui giovani esordienti si confrontano e, parafrasando un nostro autore, “cercano di portare la narrativa italiana nel 2021”.

Se non sbaglio “manaròt” è un termine preso in prestito dal dialetto trentino che significa “ascia”. Come mai questo nome per una rivista letteraria?
lò la voleva chiamare Fasoi, fagioli, ma Davide lo ha bloccato subito. Per un po’ la questione del nome è passata in sordina finché non è saltata fuori “manaròt”, una delle poche parole in dialetto trentino che sapevamo (siamo entrambi arrivati a Trento per studiare e siamo entrambi cresciuti in Lombardia). Il suono ci è piaciuto subito, anche se molti lettori e il collettivo Fragile pronunciano “manarò”, alla francese . Ancora di più ci è piaciuto che l’ascia potesse simboleggiare la rottura che cerchiamo di portare. Una rottura rispetto allo stile con cui ci sembra vengano condotte le riviste di narrativa in Italia. Infine, era un nome assolutamente nuovo ed utile per l’indicizzazione online (anche se abbiamo presto scoperto dell’esistenza di Mia Manarote, una pornoattrice ceca, che ha un SEO migliore del nostro).

MANARÒT dà spazio e voce a giovani scrittori atesini, sette in totale. Vi siete legati molto al regionalismo, eppure questo non pare costituire un limite, anzi. Raccontateci questa scelta e se si può parlare di una letteratura atesina.
La buona narrativa è universale (o dovrebbe esserla). Nessuno direbbe mai che raccontare una cittadina provinciale, soprannominata “città del mattone”, nota soprattutto per il traffico di container, possa essere interessante. Eppure Newark è il fulcro dell’opera di Philip Roth. Non importa quali luoghi si raccontano, se la prosa è buona e i temi sono universali si può scrivere di e da qualsiasi provincia dell’impero. Il legame con il regionalismo è dato soprattutto da un nostro personale radicamento nell’area e dalla volontà di concentrarci su autori che facciano riferimento al Trentino-Alto Adige/Südtirol, ma non è mai un ripiegamento localistico. Se si possa davvero parlare di una letteratura atesina è la domanda portante del secondo numero.

Come sono stati selezionati gli autori del primo numero? C’è un filo conduttore che lega i racconti?
Gli autori e le autrici sono stati selezionati nelle maniere più disparate, attingendo a un bacino di scrittori giovani, esordienti o inediti. Riccardo Micheloni era da anni a pochi gradi di separazione da noi, anche se non lo conoscevamo personalmente. Flavio Pintarelli era un amico di Nicolò su Facebook anche se non si erano mai mandati un messaggio. Da Flavio abbiamo ricevuto una lista con i nomi più interessanti dell’area bolzanina e quello è stato un ottimo viatico per conoscere Maddalena Fingerle. Daria De Pascale è stata scovata da Davide scandagliando diversi lit blog italiani. Alessandro Monaci è un collega di militanza nella redazione di CTRL Magazine.

Per legare i racconti ci avvaliamo di tre strumenti. Il primo è il tema, che raccontiamo nei “censimenti” (il nome che abbiamo dato alle nostre call). Nel censimento ci impegniamo a scrivere un articolo riversando gli elementi di ispirazione del numero e gli stimoli del periodo. Cerchiamo in questo modo di creare un punto di accesso al nostro immaginario. I nostri autori sono stati finora molto bravi a utilizzare questo passaggio, anche se ognuno combina quello che vuole e c’è anche chi lo ribalta completamente.
Il secondo è l’editing, che operiamo a beneficio del singolo racconto e dell’autore, ma avendo chiara la prospettiva più ampia. Durante la fase finale, invece, l’elemento più importante è l’indice. Cerchiamo di creare dei rimandi, giocando sui differenti registri e creando degli strati o livelli narrativi. Si tratta del mix and mastering della rivista.

manarot magazine

Non solo testo, nel cuore di MANARÒT troviamo delle lastre fotografiche del 1921, che rappresenta la prima visita dei sovrani italiani a Trento, rielaborate da Michael Zemel. Un progetto quasi onirico che personalmente, da amante delle foto d’epoca e delle contaminazioni artistiche/culturali/temporali, ho apprezzato molto. Come mai questa deviazione dalla parola all’immagine?
Le parole e le immagini in MANARÒT sono due viaggi paralleli. L’idea di un inserto fotografico è nata dalla necessità pratica di alleggerire una rivista che già chiede moltissimo al lettore (ogni numero contiene sempre sette racconti “brevi”, mediamente attorno alle dieci pagine), che si è rapidamente trasformato in una indagine alternativa e additiva sul tema di ogni numero. In questo caso le fotografie, della Fondazione museo storico trentino, sono in sé materiale d’archivio, parte di un NACHLASS, e già questo forse basterebbe. Ma a noi interessava integrare digitale e analogico e abbiamo chiesto a Michael Zemel, israeliana ma diplomata alla RUFA di Roma, di applicare una delle tecniche più digitali che ci sono, il creative coding. Le foto in sé non sono belle, ma come dici tu sono oniriche ed evocative quanto serviva.

Domanda di rito: perché un magazine cartaceo, anzi fieramente cartaceo, come avete dichiarato, in un epoca dominata dal digitale?
Anche se non siamo immuni al fascino dell’oggetto editoriale in quanto tale, il vero motivo è che, secondo noi, il formato del libro (o in questo caso della rivista) sia la tecnologia migliore per fruire dei racconti lunghi, come li vogliamo in MANARÒT. Rimane la domanda se, in assoluto, abbia senso scrivere narrativa nel 2021, ma questa domanda preferiamo non porcela.

Qualche anticipazione sul secondo numero?
È un’altra bomba. Esce il 15 luglio. Sarà nello shop di Frabs. Correte a comprarlo!

02 luglio 2021 — Anna Frabotta

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