testo e illustrazioni di Maria Vittoria Navati

A ognuno di noi è successo, almeno una volta, di imbattersi in una fotografia di un parente lontano, mancato quando avevamo solo pochi anni. Osservando lo scatto, ci accorgiamo di ricordare ancora quel volto e la smorfia sul suo viso ci risulta perfino familiare. La verità è che non abbiamo idea di chi fosse veramente. L’immagine può solo offrirci una vaga idea del mondo in cui esisteva quella persona. Una realtà in cui il telefono era ancora a disco, il divano non era marcato Ikea e le sigarette erano conservate in confezioni metalliche. Nork numero sei parla di questo: di memorie.

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Nork è una rivista di arte, cultura e società. È prodotta in Norvegia, a Tromsø, e rappresenta un punto di vista sul mondo al di sopra del circolo polare artico. Racconta una porzione di umanità che emana un calore artistico e creativo spesso diverso da quello a cui siamo abituati. Eppure, è letta e sfogliata in tutto il mondo. Ciò accade perché il magazine è un assemblaggio di storie, cioè di potenze in cui il particolare contiene l’universale. Narrando vicende assolutamente comuni, ma personali — quelle che all’apparenza possono sembrare banalità — Nork coglie l’occasione per parlare della condizione umana.

La sesta uscita della rivista è un progetto in stile libro dei ricordi, con pagine interattive da compilare. Scrivi tre parole che ti descrivono. Dove sei adesso? Dove vorresti essere? Qual è la tua prima memoria? Quale profumo o odore ha il potere di portarti indietro nel tempo? Questi sono solo alcuni dei tanti spunti che sorreggono il magazine e che forse qualcuno di noi avrà già incontrato. D’altronde, chi non ha mai posseduto un oggetto del genere? Impossibile dimenticare quei quaderni che riempivamo di domande, per poi distribuirli agli amici, così che loro potessero scrivere le proprie sincere risposte e noi potessimo entrare poco alla volta nelle loro vite. Quei taccuini, imbottiti dei pensieri e dei segreti di un’infanzia, custoditi come preziosi tesori e intoccabili da chiunque se non da noi stessi, oggi costituiscono affascinanti capsule del tempo. Con Nork possiamo tornare a sfogliare quelle pagine, riportando in vita momenti lontani, tra simpatie ed antipatie, dichiarazioni dolci e innocenti e prime delusioni. Perché, come spiega l’editoriale, anche se siamo ogni giorno più abituati a porci domande profonde, non dobbiamo dimenticare che le risposte più significative possono nascondersi dietro quesiti piuttosto semplici.

Le undici storie che compongono la rivista sono precedute da una doppia pagina che ne annuncia il numero, in maniera coerente con la volontà di costruire una narrazione scandita da episodi sapientemente legati da un unico filo.
Il primo racconto introduce un tema ricorrente di questo volume: la tecnologia e l’influenza che questa può avere sui nostri ricordi. Oggi possiamo affermare di possedere due diverse memorie. Siamo dotati di una memoria che innesca emozioni e pensieri che confondono lo spazio e il tempo e che, benché imperfetta, è comunque percepita come somigliante alla realtà. C’è poi una seconda memoria, di tipo artificiale, intangibile, ma capace di penetrare in profondità nella realtà fisica. È costituita dall’insieme dei dati che disperdiamo online, ed è, al contrario della prima, una testimonianza esatta di ciò che abbiamo fatto o affrontato. Possiamo così osservare nel dettaglio documenti digitali del nostro passato: la cronologia di una ricerca su Google o la notifica “Hai un nuovo ricordo” del nostro iPhone. Queste memorie visibili non tengono però conto di un tassello fondamentale: la tecnologia non ha alcuna idea di cosa sia veramente accaduto in quei momenti. Quelle prove luminose, dunque, non rimangono altro che istanti eternamente cristallizzati da uno schermo. Tutto il resto è ignorato. Potremmo chiederci, allora, perché siamo costantemente spinti a lasciare tracce. La risposta ha molto più a che fare con il tempo di quanto non immaginiamo ed è da individuare nella nostra ricerca, egoistica ma meravigliosamente onesta, dell’immortalità. Mettendo da parte ogni tipo di culto o fede, l’unica vita nell’aldilà di cui possiamo essere certi è la presenza del nostro ricordo nella mente delle persone. Dal momento che la sola strada per raggiungere una vita quasi eterna si trova nelle teste altrui, siamo costantemente spinti a creare, a lasciare testimonianze e il Dio tecnologia, in questo, ci viene in aiuto.

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Ciò nonostante, succede di sentirsi in conflitto con i nostri dispositivi. Ancora più spesso, però, accade di sentirsi sospettosi. Perché qualcosa che è stato progettato per semplificare le nostre vite ci sembra inquietante o, peggio, alieno? La diffidenza che spesso viviamo deriva dalla paura che provoca la prospettiva di un’esistenza interamente automatizzata. Nonostante un numero crescente di persone decida di migliorare la propria quotidianità ricorrendo alla tecnologia, quest’ultima continua a fallire nell’eliminare il timore che l’intelligenza artificiale possa sapere troppe cose su di noi.

Ecco che la storia numero tre solleva un interrogativo: ha davvero senso circondarsi di device progettati per svolgere azioni che potremmo fare noi stessi, con un pizzico di volontà in più? E se, invece, la strada da percorrere fosse quella di una coesistenza equilibrata tra individui in cerca di benessere e una tecnologia orientata alla sostenibilità? Il rapporto tra memoria e tecnologia è quindi indagato da un punto di vista artistico, in riferimento al mezzo fotografico.

Come spiega la decima storia, la fiducia che proviamo nei confronti di un qualsiasi scatto è senza eccezioni ingiustificata. La natura della fotografia, di fatto, è incompleta: non possiamo veramente credere a quanto è raffigurato perché incompleta è anche la storia che si cela dietro essa. Quanti particolari sono stati omessi dal punto di vista o dalla prospettiva? Come possiamo sapere che non si tratti di una messa in scena? Culturalmente, siamo inclini a considerare un’immagine come una testimonianza di com’era il mondo nel momento in cui è stata realizzata. Quella che ci viene offerta, tuttavia, non è altro che un’interpretazione a cui noi decidiamo di credere. Non esiste un’unica verità oggettiva o una singola storia vera. Solo tutte le versioni plausibili, se considerate simultaneamente, permettono di avvicinarsi alla realtà, seppur in maniera approssimativa. Alla fine dei conti, anche i ricordi stessi possono avere natura fittizia. Gli eventi, la storia e le memorie personali sono soggette a un profondo e incessante cambiamento. Se questo può intimidire o disorientare, d'altro canto genera libertà identitaria.

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Tutti i racconti di Nork sono allora un’unica grande storia, spalmata su un equilibrio totale tra testo — un mix di narrativa, poesia e diario — e immagini, o meglio, collage, giochi di composizione, scarabocchi e illustrazioni originali. Il magazine parla di memoria unendo finzione e realtà per creare un’atmosfera fantastica da cui non possiamo non essere trasportati. Perché nulla in questo progetto è ovvio o scontato.

Trovi Nork n.6 QUI

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01 marzo 2022 — Dario Gaspari

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